La squadra e un essere vivente - Consulenza Aziendale

È indiscutibile: la squadra è formata da esseri viventi. Ma non basta; la squadra è essa stessa un essere vivente che nasce, cresce e attraversa varie fasi di vita e, talvolta, muore, quando viene a mancare il motivo per cui è stata creata.

Non si tratta perciò di intendere la squadra solo come la somma delle personalità di chi la compone; è un’entità che ha la sua identità e il suo carattere, e che quindi deve essere gestita in quanto tale. Non è sufficiente avere un buon rapporto con ogni persona della squadra; è indispensabile creare una relazione autentica anche con il team nel suo insieme.

E come accade con gli individui, così accade anche con la squadra: per gestire in modo efficace una relazione con quest’ultima, è necessario conoscerla e coglierne tutti gli elementi nelle varie fasi della sua vita.

Il modello Drexler-Sibbet

Questo modello, inventato dai due studiosi americani da cui prende il nome, analizza le 7 fasi del team durante l’attività volta a raggiungere un obbiettivo. Ognuna di queste fasi può essere caratterizzata da una domanda.

Vediamole insieme.

1. Perché siamo qui?

È la fase dell’acquisizione di sicurezza e consapevolezza di essere veramente una squadra e non un insieme di persone che, casualmente, lavorano insieme.

È una fase costitutiva del team ed è molto delicata. Ignorare questa fase, con l’illusione di risparmiare tempo, può avere conseguenze anche gravi sul raggiungimento dei risultati.

2. Chi siamo?

È la fase dell’acquisizione della fiducia reciproca e del riconoscimento delle persone come facenti parte di un’unica entità viva e riconoscibile. Attraverso questo step, si creano rapporti sia personali sia professionali che rendono il team affidabile anche nei confronti dell’esterno, in quanto la collaborazione, l’interfunzionalità e l’intercambiabilità all’interno del gruppo di lavoro, garantisce qualità di prestazioni e rispetto dei tempi.

3. Cosa facciamo?

È la fase della condivisione della meta, dello scopo. È importante, per essere efficaci, riconoscere un obbiettivo comune, dare senso e significato a ciò che si sta facendo. E anche avere ben chiara la meta che si vuole e si deve raggiungere.

Questo passaggio è fondamentale; purtroppo, talvolta i capi lo danno per scontato e non comunicano in modo efficace gli obbiettivi. Quando non c’è chiarezza sulle mete da raggiungere, è difficile esprimere molta motivazione ed entusiasmo.

4. Come lo facciamo?

È la fase della definizione dei ruoli, dei processi, delle aree di responsabilità. È il momento delle deleghe, se se ne vogliono assegnare. L’organizzazione della squadra, “gli schemi di gioco”, come si direbbe nello sport, è un passaggio importante per essere il più efficienti ed efficaci possibile.

5. Chi fa cosa? Come? Quando?

Pur se questa fase sembra identica alla precedente, è in realtà molto diversa. Qui si definisce la programmazione delle attività e delle scadenze specifiche.

A parte la struttura formale della squadra, c’è bisogno di sapersi organizzare operativamente di fronte al singolo impegno. Quando, in questa fase, la squadra è in grado di agire autonomamente, significa che ha raggiunto un buon livello di maturità.

6. Riusciamo a lavorare?

È la fase della costruzione delle sinergie, della collaborazione spontanea, dei meccanismi operativi. Non è possibile giungere a questo livello di sviluppo della squadra se non si sono effettuati gli step precedenti.

Non si può pretendere che persone con conoscenze, anzianità, esperienze, competenze, caratteristiche e caratteri tra loro diversi possano, per magia, trovare la formula perfetta per interagire immediatamente in modo armonioso e raggiungere i risultati attesi.

7. Perché vale la pena di continuare?

È la fase della maturità, della consapevolezza dei risultati, della conoscenza e della stima reciproca.

Sembra un idillio infinito; ma quando è tutto perfetto, è troppo perfetto. Possono mancare gli stimoli che arrivano anche dalla necessità di migliorare. È importante inserire talvolta piccoli cambiamenti, o alzare l’asticella, o proporre una sfida. Queste azioni possono sembrare controproducenti e un po’ destabilizzanti, servono invece a mantenere alti l’impegno, la motivazione, il senso del mettersi alla prova, la necessità di essere flessibili.

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