la paura di agire articolo PMI - Consulenza Aziendale

Se è vero che è meglio pensare prima di agire, è altrettanto vero che, dopo aver pensato, bisogna agire.

Agire senza pensare può rivelarsi pericoloso, anche dannoso, con conseguenze negative talvolta gravi e irreversibili.

Pensare senza agire può essere ugualmente deleterio; può rendere vani tanti progetti e tante idee, può farci arrivare tardi nei confronti delle esigenze del contesto, delle altre persone, delle azioni dei nostri competitor. Nel migliore dei casi, pensare senza agire è spreco di energie intellettuali.

Perché talvolta non si agisce dopo aver tanto pensato? Le risposte sono tante e legate a situazioni in essere, esperienze precedenti, culture di provenienza, predisposizioni personali, e così via.

Qui di seguito ne analizzeremo alcune.

La tendenza al perfezionismo

Voler fare tutto, e tutto perfetto, già all’inizio di un progetto, rischia di farci cadere nella trappola dell’immobilità.

Se l’Uomo, quando ha avuto la geniale intuizione dell’invenzione della ruota, avesse preteso di creare la Ferrari, staremo ancora aspettando!

La tendenza al perfezionismo può portare a non iniziare fino a quando tutte le condizioni ritenute indispensabili non siano presenti. Le cause, secondo varie ricerche psicologiche, possono essere:

• il timore dell’errore;

• l’abitudine a standard personali elevati;

• la percezione di aspettative molto alte dall’esterno e di un conseguente forte rischio di esporsi alla critica;

• una preferenza per l’ordine e l’organizzazione.

Avere a che fare con la necessità della perfezione espone la persona a un ulteriore problema: il senso del fallimento legato proprio al fatto di non riuscire a dare avvio all’azione. Per questo motivo, essa tende a colpevolizzarsi e a viversi come poco affidabile e con una volontà insufficiente.

Le emozioni che caratterizzano la tendenza al perfezionismo sono l’ansia che, di fatto, è la paura e la preoccupazione per il futuro, e il senso di colpa.

La paura dell’errore

Anche se può sembrare la medesima situazione della tendenza al perfezionismo, alla base c’è una percezione di sé molto diversa. Nel primo caso, la persona  pretende da se stessa standard elevatissimi; in questa seconda situazione, invece, la paura del fallimento è spesso connotata da una percezione di sé abbastanza bassa e, perciò, la non azione è causata dalla paura di non essere all’altezza del compito o della situazione. Le dimensioni maggiormente riscontrate sono:

• la bassa autostima;

• la visione pessimistica della vita.

Come nel primo caso, l’emozione più presente è l’ansia, pur se dovuta, come abbiamo visto, a cause diverse.

La paura del successo

A differenza del profilo precedente, qui ci troviamo di fronte a una persona che ha paura delle conseguenze che può portare con sé il successo; ad esempio, un sovraccarico di impegni, l’incremento delle aspettative degli altri, la necessità di assumersi nuove responsabilità, il doversi relazionare ed esporre con gli altri più di quanto sia gradito a questo tipo di persone, la paura di generare invidie e crearsi dei nemici, la credenza limitante di non essere degno del successo, e così via. Le dimensioni maggiormente riscontrate sono:

• la bassa autostima;

• la paura del cambiamento;

• la scarsa propensione per le relazioni interpersonali.

Alla base c’è una pericolosa miscela di due emozioni: paura e ansia.

La propensione a non faticare

Agire significa mettere in moto energie e lavorare. Non tutti amano questa prospettiva; alcuni preferiscono il relax, spesso definito come “dolce far niente”. Chi vive secondo questi principi, preferisce non agire e  procrastina impegni e attività perché è infastidito dall’idea di dover affrontare fatica, impegno, stress e responsabilità in quantità superiore rispetto alla condizione del “non fare”.

Di solito, questa persona preferisce la gratificazione immediata piuttosto che il dover affrontare qualsiasi forma di disagio volta a una gratificazione futura. Le dimensioni maggiormente riscontrate sono:

• la paura della fatica e dello stress;

• la ricerca del benessere nel qui e ora, con scarso interesse per il futuro;

• la bassa lungimiranza, o almeno la scarsa vision del futuro.

Due tra le emozioni che questo stile di vita fa emergere più frequentemente sono la paura e la noia. Parlare di noia sembra una contraddizione, visto che il non fare è una scelta, eppure anche l’ozio sembra non dare soddisfazione a questa tipologia di persone.

Il bisogno di eccitazione

Talvolta non si trova l’energia per fare perché è solo l’adrenalina dell’incombenza della scadenza che crea la motivazione all’azione.

La famosa legge di Parkinson (Cyril Northcote Parkinson, storico navale britannico) afferma che: “Il lavoro si espande in modo da riempire il tempo a disposizione per il suo completamento”. Le dimensioni maggiormente riscontrate sono:

• la scarsa autodisciplina;

• lo scarso senso di responsabilità;

• l’ottimismo e la superficialità;

• la ricerca del benessere nel qui e ora con scarso interesse per il futuro.

In questo caso, una delle emozioni protagoniste è la rabbia verso le persone e le situazioni che ricordano gli impegni e le responsabilità assunte. È un atteggiamento che connota soprattutto gli anni della gioventù.

L’atteggiamento depresso

È importante precisare che, in questo caso, il termine “depresso” si riferisce esclusivamente al profilo della causa di “non azione” e non a stati d’animo o patologie specifiche. In questa esclusiva accezione, quando si ha un tale atteggiamento, di solito si dice subito “sì” di fronte a impegni, richieste, opportunità e, successivamente, si provano ripensamenti e pentimenti per quell’atto iniziale sostenuto da grande entusiasmo ed energia.

Lo stato d’animo è quello della pigrizia mista a una difficoltà a “mettersi in moto” per mancanza di energia e per paura della delusione per un’esperienza non all’altezza dell’aspettativa. Le dimensioni maggiormente riscontrate sono:

• la bassa autostima;

• uno scarso livello di energia;

• un certo pessimismo.

Tra le emozioni che connotano questo profilo ci sono la tristezza, l’ansia e, talvolta, la rabbia.

Hai riconosciuto qualcuno?

Hai riconosciuto qualche tuo collaboratore tra questi profili? In qualsiasi caso, la ricetta non è forzare in modo ostinato un comportamento: la fatica sarebbe tanta e i risultati scarsi; è molto più utile lavorare con costanza sulle cause per cambiare un tipo di approccio, o per aumentare l’autostima, o allenare la persona a cambiare qualche automatismo di pensiero.

La formazione e il coaching possono essere validi supporti per aiutare le persone a essere più predisposte all’azione.

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