Nei prossimi post su LinkedIn, vedrai che ci siamo posti la domanda se la concretezza è sempre la risposta giusta a ogni esigenza di raggiungimento degli obbiettivi di una persona, di un team, di un’intera azienda.
Se ci rifacciamo all’etimologia della parola, “concreto” deriva dal latino “concretus” che significa “denso”, “coagulato”. Questa definizione esprime una caratteristica specifica della concretezza: la solidità, l’affidabilità, la capacità di essere base per qualcos’altro.
I due termini “denso” e “coagulato” ci raccontano anche un’altra storia: qualcosa che fluisce con fatica, che non si muove in maniera agile e non permette sempre a elementi esterni di entrare in contatto e fondersi con quanto già esistente.
Da queste semplici riflessioni appare subito chiaro che ricercare costantemente ed esclusivamente la concretezza può non essere sempre utile e funzionale al raggiungimento dei nostri traguardi.
E allora, se la concretezza non è sempre la risposta giusta, cosa c’è, oltre?
Le sensazioni
Le sensazioni sono tutte le informazioni che riceviamo dall’esterno attraverso i nostri sensi. Non hanno nulla a che vedere, come talvolta si pensa, con qualcosa di esoterico e indefinibile a cui non vale la pena dare credito.
Le sensazioni rappresentano tutto ciò che riusciamo a “sentire” con il nostro corpo.
Talvolta queste informazioni arrivano alla nostra parte cosciente, altre volte no. E sono proprio quelle sensazioni che, talvolta, ci portano ad adottare certi comportamenti o ad operare specifiche scelte in modo apparentemente inspiegabile.
Come fare a essere più consapevoli delle nostre sensazioni? Stando in modo più consapevole nel presente, rendendoci conto di cosa ci circonda, del contesto in cui siamo inseriti, degli eventi che accadono intorno a noi. Essere più “presenti” acuisce le nostre sensazioni, cioè la nostra capacità di accorgerci di quanto i nostri sensi recepiscono.
I sentimenti
La radice di questa parola è la stessa di “sensazione”, ma ha un significato diverso. In questo caso, ciò che si sente è qualcosa di meno fisico, ma più legato alla sfera emotiva, spirituale, animica.
Mentre le sensazioni possono espandere la nostra capacità di percepire, i sentimenti, a volte, producono l’effetto contrario: ci inducono a focalizzare la nostra attenzione su quanto può rinforzare il sentimento stesso.
Quando proviamo un sentimento verso una persona, un oggetto, una situazione, siamo portati a riconoscere nell’oggetto del nostro sentimento le caratteristiche utili a corroborare proprio quel sentimento. E ciò accade indipendentemente dalla qualità del nostro sentimento.
I pensieri
Il pensiero è una delle espressioni più alte – forse la più alta in assoluto – del nostro essere umani.
Col pensiero creiamo, ci poniamo domande, mettiamo in moto la nostra capacità di cercare significati, di andare oltre i confini del già noto, di mettere in discussione quanto già sappiamo o ci viene detto.
Purtroppo, l’abitudine, la fretta, la pigrizia e la paura ci inducono talvolta a preferire il fare al pensare. Il fare è utile, ma non è garanzia di evoluzione e di sviluppo.
Dobbiamo riavvicinarci al pensiero che, per sua natura, ha bisogno di tempo, di silenzio, di libertà, di curiosità e di disubbidienza.
La ragione
Tra le tante facoltà della mente e dell’animo umano, la ragione è forse quella che più si avvicina alla concretezza.
Usiamo la ragione per creare o seguire schemi, regole, prassi o procedure. La ragione è utile per dare un ordine logico ai pensieri o alle azioni, per dare origine a sequenze e sistemi “causa-effetto”.
Il problema è quando vogliamo usare la ragione per trovare soluzioni nuove; per creare nuovi prodotti, o nuove forme di comunicazione; per avviare nuove attività; per dare alla luce nuovi contesti sociali.
L’intuizione
Intuizione deriva da “intuo” che significa “guardare dentro”. Usiamo l’intuizione quando riusciamo a farci domande su ciò che non si vede, che non si riesce neanche a percepire con i sensi. L’intuizione prende vita quando lasciamo la nostra mente libera di vagare oltre ciò che sappiamo, che percepiamo, che sentiamo e che immaginiamo di sapere.
L’attenzione
È il nostro puntatore. È ciò che permette a qualcosa di esistere, e a qualcos’altro no.
È attraverso l’attenzione che creiamo la nostra realtà e creiamo quindi il nostro mondo; la nostra attenzione guida il nostro pensiero e le nostre strategie decisionali.
Attraverso l’attenzione definiamo il mondo in cui viviamo e, di conseguenza, definiamo noi stessi.
L’immaginazione
Si può dire che l’immaginazione sia la componente più preziosa e più potente della mente.
Si parla pochissimo di immaginazione. Sia in filosofia sia in psicologia, questo argomento è lasciato ai margini, quasi ignorato.
L’immaginazione non ha nulla a che vedere con le immagini, tantomeno con qualsiasi manifestazione percepibile con i nostri sensi. E non può neanche essere ricondotta alla fantasia o alla creatività.
Bene, abbiamo visto tutto ciò che l’immaginazione non è. Ma che cos’è, allora?
Qualcosa che, in qualche modo, può spiegare l’immaginazione è ciò che il filosofo Daniel Dennel chiama CWC “Competence Without Comprehension”, cioè il saper fare senza comprendere il come.
L’immaginazione è la profonda sicurezza che la strada è quella, che ciò che dobbiamo fare è esattamente quella cosa, che ciò che dobbiamo rispondere è esattamente quella frase, che la decisione che dobbiamo prendere è esattamente quella e non un’altra.
Per sviluppare la nostra immaginazione dobbiamo abbandonare le nostre competenze e le nostre sicurezze concrete, quelle legate alla realtà di tutti i giorni. Dobbiamo avere il coraggio di tornare a essere piccoli e indifesi, per abbandonare la maschera del nostro ruolo e accettare di perderci per poi rinascere con maggiore conoscenza di noi e dell’immenso tesoro che è già in noi.
Nella Divina Commedia, Dante ci racconta sin dai primi versi, il suo percorso di crescita e potenziamento, attraverso l’accettazione di perdersi e abbandonarsi completamente alla sua morte metaforica per poi risalire e rinascere.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!”
Abbandonare le proprie conoscenze, le proprie sicurezze, il proprio cammino fa paura, certo. Ma allontanarci da ciò che sappiamo e pensiamo di essere è l’unico modo per trovare una nuova parte di noi; o meglio, quella parte di noi che è già in noi, ma è stata sepolta dalle macerie dei nostri paradigmi, dei ruoli che abbiamo scelto o ci hanno cucito addosso, dalla strada a senso unico che abbiamo percorso per anni.
Quando ci inoltreremo anche noi nella nostra personale foresta oscura, allora incontreremo un noi più profondo e potente; un noi capace di guardare oltre ciò che la realtà quotidiana è in grado di metterci a disposizione, e scopriremo così gli infiniti e straordinari spazi dell’immaginazione.
La volontà
È il risultato di tutte le nostre facoltà; è ciò che ci permette di far diventare azione tutto ciò che avviene dentro di noi, nel nostro spirito, nella nostra anima, o come ognuno di noi vuole chiamare ciò che va oltre l’attività della nostra mente.
La nostra volontà è il carburante che consente al corpo di mettersi in moto e creare la connessione tra “l’oltre” e “la concretezza”.
Senza la volontà, tutto il nostro potenziale e il nostro valore intellettuale, morale, spirituale e animico non riuscirebbero a mettersi in contatto col mondo esterno, con la parte fisica di noi stessi e con gli altri.
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