Nel nostro post pubblicato su LinkedIn abbiamo affermato che la nostra percezione della realtà non potrà mai essere esattamente uguale alla realtà. Perché?
Noi percepiamo la realtà attraverso i nostri cinque sensi e la elaboriamo grazie alle complesse attività del nostro cervello e alle emozioni che quella realtà percepita suscita in noi.
Appare subito ovvio che ognuno di noi ottiene informazioni diverse della realtà; ad esempio, la nostra posizione nello spazio può farci notare o non notare alcuni particolari della realtà; i nostri sensi possono captare segnali più o meno forti rispetto a ciò che arriva ad altre persone; ciò che percepiamo può scatenare emozioni diverse; il nostro cervello elabora le informazioni sulla base di quanto è già a sua disposizione riguardo a quello specifico stimolo.
Tutto ciò fa sì che una medesima situazione possa dare origine a realtà soggettive molto diverse le une dalle altre, portando ognuno di noi ad avere idee, credenze, atteggiamenti specifici su noi stessi, sugli altri e sulla vita in genere.
I paradigmi
Quando parliamo di paradigmi ci riferiamo al modo in cui vediamo, comprendiamo, e interpretiamo il mondo; la nostra mappa mentale.
I paradigmi derivano dalla nostra storia, dalla nostra cultura, dalle esperienze che abbiamo vissuto, dal nostro stile di vita e da tutto quanto ha, da sempre, influenzato i nostri pensieri e i nostri sistemi di valutazione.
Abbiamo detto che i paradigmi corrispondono alla mappa che noi abbiamo disegnato del mondo che percepiamo.
Dai paradigmi hanno origine le azioni, e le azioni portano ai risultati: conseguenze positive o negative da cui prendono vita altre interpretazioni e nuove azioni. Il fatto è che anche i risultati delle nostre azioni sono osservati e valutati da noi stessi attraverso i filtri dei nostri paradigmi.
Secondo il grande studioso e formatore americano Stephen Covey, il passaggio dal paradigma ai risultati che otteniamo può essere visualizzato in un semplice schema circolare che si ripete all’infinito; lui lo chiama lo schema “See-Do-Get” (Vedere-Fare-Ottenere).
Se pensiamo che le grandi città siano covi di miseria, delinquenza e sporcizia, sicuramente sceglieremo di vivere in una casa immersa nella natura, lontana dai grandi centri abitati.
Se un giorno andiamo in città per sbrigare una commissione e il giorno seguente – dopo una cena pantagruelica accompagnata da scadente e abbondante vino – abbiamo il mal di testa, sicuramente non faremo attenzione a ciò che abbiamo mangiato e bevuto, ma soffermeremo la nostra attenzione sul fatto che il giorno prima abbiamo respirato aria inquinata accompagnata da un altrettanto pericoloso inquinamento acustico.
La settimana successiva, quando dovremo nuovamente recarci in città, saremo preoccupati di dover di nuovo sopportare un altro mal di testa. E, probabilmente, a causa dello stress e del malumore, il mal di testa arriverà.
I paradigmi, proprio perché sono le assunzioni da cui partiamo per prendere una decisione, scegliere un comportamento, o interpretare un evento, sono assolutamente significativi anche del tipo di relazioni che instauriamo con gli altri.
In base ai paradigmi di una persona su un’altra persona, o su una categoria di persone, si possono creare pericolose spirali negative che possono condurre anche al completo deterioramento di una relazione.
Se pensiamo che i nostri colleghi dell’amministrazione siano pigri e distratti, oppure siamo convinti che i nostri collaboratori facciano di tutto per rallentare il lavoro, allora le nostre azioni e i nostri comportamenti nei confronti di queste persone – o dei gruppi nei quali queste lavorano – saranno contaminati negativamente dai nostri paradigmi, con risultati sicuramente non soddisfacenti. E così può capitare agli altri nei nostri confronti.
Possiamo liberarci completamente dei nostri paradigmi? Assolutamente no; sono parte di noi. L’importante è essere coscienti che questi definiscono la nostra mappa, che non è il territorio; essi ci conducono alla nostra verità, che non è la verità assoluta.
Se ci ricordiamo di questo fondamentale passaggio durante le nostre valutazioni, saremo meno esposti al rischio di non accordare fiducia a una persona solo perché la sua interpretazione della realtà è diversa dalla nostra.
Le credenze limitanti
“Io sono fatto così…”; “Io posso…”; “Io non posso…”.
Quante volte al giorno iniziamo le nostre frasi in questa maniera? Speriamo non troppe.
Tutte le volte che ci definiamo, ci autolimitiamo; stiamo costruendo intorno a noi – con aree più o meno ampie – pericolosi confini che hanno come unico scopo quello di delimitare il nostro spazio e le nostre opportunità di crescita.
Le valutazioni sulla persona sono sempre pericolose e lontane dalla realtà, indipendentemente dal fatto che quelle stesse valutazioni siano rivolte a noi stessi, oppure a un altro individuo.
Ogni essere umano è caratterizzato dal fatto che, durante tutta la sua esistenza, è in continuo divenire. Oggi siamo diversi da quelli che eravamo ieri; addirittura, un minuto fa eravamo diversi da ciò che siamo in questo momento, non fosse altro per il fatto che pensiamo, e i nostri pensieri sono velocissimi e hanno la capacità di influenzare le nostre emozioni; e le nostre emozioni sono strettamente collegate con alcune nostre importanti funzionalità neurobiologiche, oltre a indirizzare le nostre scelte di comportamento.
Se tutto ciò è vero – e, anche per i più scettici, ci sono prove scientifiche che è vero – come possiamo definirci in modo statico? Eppure lo facciamo sempre, raccontando a noi stessi un mare di bugie che ci portano a credere di essere molto diversi e distanti da chi siamo veramente.
Essere schiacciati e perseguitati da una nostra immagine falsa e statica non significa soltanto presentare a noi stessi e al mondo un ritratto poco rispondente alla realtà, significa soprattutto che noi sentenziamo a priori, senza possibilità di ricorrere in appello, cosa siamo in grado e cosa non siamo in grado di fare; cosa fa per noi e cosa no; quali sfide siamo in grado di raccogliere e quali invece sono per noi inavvicinabili.
Tutte queste valutazioni prendono come riferimento un modello che non corrisponde a noi, è soltanto un insieme di credenze su di noi che derivano da nostre esperienze passate e, in buona parte, da ciò che gli altri – specialmente durante la nostra giovane età – ci hanno detto che siamo.
In questo modo, rischiamo di vivere una vita a scartamento ridotto, dalla quale potremo trarre solo una parte dei risultati e delle soddisfazioni a nostra disposizione; o addirittura, possiamo imboccare strade che ci portano in posti dove non vogliamo andare.
Libertà di scelta
Molte volte si parla di libertà, e di questo termine sono state create migliaia di definizioni, alcune di taglio storico e sociologico, altre legate al mondo della spiritualità, altre ancora di natura giuridica, e così via.
Si può anche dire che: “La libertà è la possibilità di scegliere”. Scegliere è l’espressione della nostra libertà e del nostro libero arbitrio, ma è anche, contemporaneamente, causa e conseguenza dell’assunzione della nostra responsabilità personale.
Perché parlare di libertà trattando il tema delle credenze limitanti? Perché tutto ciò che pensiamo di noi limita il panorama di opportunità che ci si apre davanti; circoscrive la nostra possibilità di scegliere e, di conseguenza, delimita in uno spazio ristretto la nostra libertà.
Vale quindi la pena di decidere a priori cosa possiamo permetterci o meno di sperimentare nella nostra vita? Di stabilire fino dove possiamo guardare? Di mettere argini alla nostra libertà, alla nostra creatività, alla nostra capacità di crescere e svilupparci?
Lasciamo che siano le esperienze a insegnarci qualcosa e non siano le rinunce a giudicarci.
Quando avremo preso l’abitudine di permetterci di vivere una vita libera, allora potremo fare lo stesso nei confronti degli altri, in ogni ambito della nostra vita: personale e professionale; con la famiglia, con gli amici, con i collaboratori e con la squadra nel suo insieme.
Staccare le etichette
Cosa significa questo nel mondo del lavoro? Poche e semplici cose: non attacchiamo “etichette” sulla schiena delle persone, come fossero targhe che raccontano, con poche lettere e numeri, una storia lunga, complessa e ricca di sfaccettature; non lasciamo che la storia possa determinare il futuro di una persona; diamo sempre nuove opportunità e non decidiamo noi chi sono gli altri.
Non permettiamo neppure agli altri di fare questo gioco nei nostri confronti.
Le azioni e le scelte di ogni essere umano devono rappresentare l’origine del suo futuro e non la conseguenza del suo passato.
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