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Pergo

La solitudine dei numeri primi 5 2 - Consulenza Aziendale

È il titolo di un romanzo pubblicato un po’ di anni fa, ma è anche un'evidenza incontrovertibile.

Un numero primo vive insieme agli altri numeri, fa parte di un mondo specifico nel quale si inserisce, eppure fa riferimento soltanto a sé; può infatti essere diviso soltanto per 1 o per se stesso. Se fosse una persona, probabilmente non troverebbe esatte corrispondenze empatiche con i suoi simili, pur facendo parte della società civile.

Lasciando perdere la matematica, possiamo anche dire che il primo posto, di qualsiasi podio si stia trattando, ha una dimensione ben definita; non è un’ampia zona a disposizione di un numero imprecisato di persone.

E così, a pensarci bene, è per tutti i posti destinati a un leader: un trono, un pulpito, un podio…

Per non fare confusione

Il fatto che un capo debba differenziarsi dagli altri, anche fisicamente; debba “prendere le distanze”; debba allontanarsi dal resto della squadra potrebbe voler dire che il capo deve imparare a stare solo.

Forse no, o forse non sempre.

Il capo può creare e mantenere piacevoli e significative relazioni cordiali e di convivialità con chiunque della squadra, ma non può mai dimenticare che è il capo. Proprio il suo ruolo fa sì che, in ogni caso, gli altri lo guardino sempre cercando nei suoi comportamenti, nel suo stile, nella sua comunicazione, un esempio, uno stimolo, un punto di riferimento.

Il ruolo del capo è un ruolo pesante e impegnativo che non può essere indossato solo quando ci fa comodo; se facessimo così, potremmo indurre la squadra a fare confusione per l’incoerenza di diversi valori e comportamenti tra loro.

 

Parenti… apparenti

In uno degli articoli passati abbiamo affrontato il tema della sovrapposizione di ruoli che, specialmente nelle aziende di medie e piccole dimensioni, possono verificarsi quando i parenti o gli amici hanno anche relazioni professionali all’interno dell’impresa. Come fare, in quei casi?

Chiaramente, non si può fare l’Amministratore Delegato anche mentre siamo intenti a guardare la partita di calcio col resto della famiglia, o quando stiamo scartando i regali di Natale sotto l’albero, o in pizzeria prima di andare a giocare a bowling. Non sarebbe giusto e sostenibile per nessuno.

Diventeremmo dei “parenti apparenti”, delle specie di burattini fasulli tanto in casa quanto in azienda, utili a nessuno e odiosi a tutti, compresi a noi stessi.

E allora, come risolvere la questione?

Non è ridendo per una barzelletta, o esultando per il punto segnato dalla squadra del cuore che perdiamo coerenza col ruolo di leader. Ciò a cui dobbiamo stare attenti è essere coerenti e costantemente allineati coi nostri valori, con quanto insegniamo ai nostri collaboratori, con quanto chiediamo alla nostra squadra in termini di qualità, di affidabilità, di lealtà ed etica personale.

…E poi bisogna decidere

Uno dei pochi momenti in cui, veramente, ci troviamo a sperimentare il senso di solitudine è quando dobbiamo decidere.

Il capo decide. Può ascoltare i pareri degli altri, può avvalersi dei consigli dei suoi più stretti collaboratori e di esperti consulenti, poi però è chiamato a decidere.

Decidere è un’attività solitaria, altrimenti non è una decisione, è un referendum, è una votazione, ma di sicuro non è una decisione. E decidere non è un diritto o un privilegio che spetta al capo per sancire il suo potere; è un dovere che spetta al capo perché è l’unico che si trova nella posizione organizzativa adeguata per poter sopportare le eventuali conseguenze negative di una decisione non corretta.

Qui il capo diventa veramente un numero primo: intero, positivo, naturale e indivisibile.

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